tra bosnia e serbia
Posted on | 12 novembre 2009 | No Comments
Diego Lama, architetto di qualità e testa pensante che scrive per il Corriere del Mezzogiorno, offre un interessantissimo spunto di riflessione su Napoli. E con me sfonda una porta aperta.
Esiste un indice internazionale, stilato da Fund for Peace e dalla rivista Foreign Policy, che individua gli stati in via di fallimento, quelli che rischiano di andare a rotoli, quelli già precipitati nel baratro dell’ingovernabilità. L’indice valuta 12 rivelatori di instabilità (politici, economici e sociali) e, in base ad essi, dando loro un opportuno valore, calcola l’instabilità complessiva di una nazione su cui poi puntare l’attenzione del mondo se c’è bisogno di aiuto.
Leggendo i 12 parametri si scopre con chiarezza che l’Italia non è un paese sulla via del fallimento. Lo è stato, non lo è più, speriamo che mai torni ad esserlo.
Però, se per eccesso di zelo si prova a utilizzare gli stessi parametri per valutare alcune singole città o anche alcune regioni del paese, allora si scopre che la penisola accoglie situazioni ben diverse.
Proviamo dunque a leggere i 12 indicatori internazionali d’instabilità. E proviamo, con una certa approssimazione, ad accostarli ad una città a casa, per esempio Napoli: 1) declino economico, 2) sviluppo diseguale, 3) delegittimazione dello stato, 4) deterioramento dei servizi pubblici, 5) violazione dei diritti umani, 6) vendette o recriminazioni di gruppo, 7) apparato di sicurezza non omogenee, 8] élite divise in fazioni, 9) pressione demografica, 10) emigrazione cronica, 11) sfollati interni, 12) interventi di stati esteri.
Il crudo elenco di fattori d’instabilità (fatta eccezione forse per gli ultimi due) si adatta perfettamente, purtroppo, alla città: la camorra, l’inciviltà, l’insicurezza, il declino, le disuguaglianze, le emergenze… Si dirà che non è così, che non c’è serietà in un’analisi di questo tipo, che si tratta della solita esagerazione apocalittica, del solito catastrofismo disfattista.
Forse si, forse si tratta di una forzatura. Eppure i parametri sono sotto gli occhi di tutti, e tutti potrebbero divertirsi a dare un valore a ciascuno di essi (da 1 a 10) per scoprire la posizione di Napoli all’interno dello schema internazionale. Certamente si troverà dopo la Somalia che, con il massimo di 120 punti, è il paese più instabile del pianeta; certamente si troverà dopo Afghanistan e Iraq che, con 110 punti, fanno parte della top ten. Ma, dando un valore medio 6 ai dodici indicatori, qualche 4, aggiungendo qualche 9 e almeno due 10 (delegittimazione dello stato e deterioramento dei servizi pubblici), scopriremo che Napoli si trova tra Bosnia (83) e Serbia (80). Niente male. Dispiace constatare che l’instabilità in un paese, di solito, è dovuta ad un evento fatale di grande importanza come una guerra civile, una calamità naturale, un violento cambio di potere. Nel caso di Napoli il deterioramento è avvenuto lentamente, senza un preciso motivo, ed è diventato cronico, tanto da non venir più individuato come un’emergenza.
Come scrive Robert Draper su National Geographic: “nessuno meglio dei suoi abitanti può dire se un paese è sulla via del fallimento. Se i loro occhi dicono: siamo stati abbandonati, il verdetto è stato pronunciato”. Chissà qual è il verdetto dei napoletani.