treni, terremoti e parmigiano
Posted on | 15 luglio 2012 | No Comments
Premessa: avevo già scritto questo post sull’ipad prima di ripartire dalla Calabria verso Napoli. Poi, giuro, sono andato alla stazione di Cosenza dove alle 14.36 tutti gli sportelli di biglietteria erano chiusi (come si vede dalla foto) e sono comunque riuscito a prendere l’Eurostar 9378 che è partito zeppo all’inverosimile da Paola e si è fermato ogni dieci minuti per guasti sulla linea e al locomotore. Con 40 gradi di temperatura esterna e l’aria condizionata che andava a intermittenza. Si è anche interrotta la vendita di panini e bevande nella carrozza bar perché era terminata la carta per gli scontrini e non potendoli emettere non vendevano più l’acqua alla gente che moriva dal caldo. Solo un giovane, sveglio e professionale controllore ha salvato la situazione imponendo la distribuzione gratuita per far bere i passeggeri. Sembra una barzelletta. Ma non lo è. E mi è andata bene rispetto a quanto su twitter raccontavano del Frecciabianca 9822 Taranto-Milano partito senza aria condizionata con anziani e bambini boccheggianti.
Il terremoto in Emilia e il sistema di trasporto ferroviario sono le più efficaci ed immediate, lampanti, cartine al tornasole della spaccatura netta dell’Italia in due paesi diversissimi e lontani anni luce tra di loro.
Subito dopo le prime scosse dello scorso maggio, assieme al dolore per le vittime, l’opinione pubblica e i media si sono concentrati sui monumenti danneggiati e sulle aziende. Soprattutto sulle aziende. A distanza di mesi, oggi l’attenzione è ancora altissima sulle attività economiche che stentano a ripartire, sulla promozione dell’acquisto solidale delle forme di parmigiano scassate dal terremoto, sui calcoli dei danni subiti dal distretto di eccellenza dell’aceto balsamico.
Del terremoto in Irpinia del 1980 io ricordo solo la devastazione, i morti a migliaia, il lutto di intere comunità cancellate dalla faccia della terra, la protezione civile di Zamberletti, i volontari, le coperte e i medicinali da mandare ai centri di raccolta, politica e camorra a gestirsi la ricostruzione, gente che ha vissuto nei container per vent’anni. E basta, più o meno.
Stesso discorso per il terremoto all’Aquila. Morti, centri abitati inagibili, new town da costruire in fretta e furia, polemiche, accuse. Ma le aziende danneggiate da far ripartire o i distretti industriali non mi pare abbiano ricevuto tutta questa attenzione.
Perché?
Veniamo ai treni. È partita la concorrenza sull’alta velocità, Ntv accusa Trenitalia di ostacolarla violando le regole, in Val di Susa si battaglia per impedire alla Tav di rovinare quelle splendide zone solo per motivi di vil denaro, di business, per completare il tratto finale tra Italia e Francia a loro dire non necessario.
Bene. Ottimo. Robe da paese moderno.
Ma tutto questo riguarda solo chi vive tra Napoli e le Alpi. Gli altri, metà del paese, vivono ancora nel secolo scorso. L’alta – e la media – velocità non sanno nemmeno cosa siano.
A meno che non abbiano occasione di varcare il parallelo vesuviano ed assaporare la modernità del trasporto.
Insomma, nel loro quotidiano vivere e lavorare, gli italiani del Sud possono serenamente fottersi, per usare un termine tecnico.
Provare per credere.
Laggiù, in quella quasi-Italia c’è solo da vergognarsi. E dovrebbero farlo tutti coloro che dal dopoguerra in poi si sono occupati di trasporti nel governo nazionale e nelle istituzioni locali. Tutti i deputati e senatori che hanno permesso che progressivamente le Ferrovie dello Stato riducessero i collegamenti nei territori dai quali prendevano i voti per andare a fare la “Grande Politica a Roma”. Che venissero destinati a quelle regioni treni sempre più vecchi e consunti. Che i loro concittadini ed elettori se la prendessero a quel servizio: studenti, pendolari, lavoratori, turisti. Tutti.
Perchè?
Perchè a sud di Napoli c’è solo una massa umana di consumatori passivi. E da quando sono state chiuse tutte le megafabbriche d’antan, dal punto di vista economico si tratta di gente che non conta nulla. Nemmeno più elettoralmente, visto che i deputati e senatori sopracitati da qualche anno i voti non devono più andarseli a cercare, perchè vengono nominati dalle segreterie nazionali. Sono milioni di persone che possono solo morire in occasione di terremoti, inondazioni e frane, senza la proverbiale dignità e compostezza degli altri italiani che in questi casi muoiono in meno e subito si rimboccano le maniche per far ripartire aziende, fabbriche e fabbrichette. Qui, in quest’altra Italia, possono solo piangere scomposti e teatrali. Perché non c’è un beneamato cazzo da far ripartire.